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LO STIPENDIO MINIMO: UNA QUESTIONE IRRISOLTA…

LO STIPENDIO MINIMO: UNA QUESTIONE IRRISOLTA…


10 luglio 2020 | Lavoro e dintorni
LO STIPENDIO MINIMO: UNA QUESTIONE IRRISOLTA…

All’ordine del giorno del dibattito politico, il tema legato agli stipendi e, per estensione, alla corretta retribuzione, resta centrale e pare finalmente far convergere le varie parti. Nel decennio di crisi abbiamo visto aumentare il cosiddetto lavoro povero, che anche nella fase di ripresa occupazionale ha visto la maggioranza dei nuovi posti di lavoro destinati in particolar modo alle basse qualifiche e, di fatto, alla bassa retribuzione. A questo processo vanno aggiunti anche fenomeni di dumping contrattuale tesi ad influenzare i livelli retributivi, maturato soprattutto in seguito alla proliferazione di contratti collettivi firmati da organizzazioni poco rappresentative (i cosiddetti “contratti pirata”)

La questione dal punto di vista pratico, viene affrontata da disegni di legge, in cui il tema della retribuzione minima è trattato quasi esclusivamente in termini di “dignità” dei lavoratori, dimenticando, o quasi, quanto ingente sia trade-off tra stipendi e occupazione, tra costo del lavoro e competitività delle imprese. Complessivamente l’incidenza sul benessere dei soggetti, e per estensione sull’occupazione e le diseguaglianze sono direttamente proporzionali al livello al quale viene fissata la retribuzione minima. S’impone un equilibrio dovuto al fatto che livelli eccessivamente bassi rischiano l’inefficacia; di contro, con l’applicazione di livelli troppo alti si rischiano effetti controproducenti spiazzando l’occupazione e aumentando le diseguaglianze.

Come spesso accade, il rischio più probabile, specie considerando l’inusuale fretta con cui le parti politiche intendono affrontare il problema, è quello di una strumentalizzazione ai propri fini che spesso porta alla banalizzazione del problema, nonché a soluzioni generiche, per così dire trasversali, senza una vera analisi delle problematiche specifiche.

Oltre a ciò, bisognerebbe evitare che lo strumento della retribuzione minima e tutte le considerazioni e i provvedimenti ad esso annessi, non si rivelino un’arma a doppio taglio. Per evitare ciò, in primo luogo, ci appare di fondamentale importanza l’introduzione di un minimo che eviti di scardinare l’attuale dinamica della regolazione degli stipendi. Da ciò ne deriva il fatto che sarebbe opportuno proporre al Parlamento di demandare il compito di fissare il livello delle retribuzioni minime a al Cnel, sulla falsa riga di come già avviene in Francia, Regno Unito, Germania. Restando ferma tuttavia l’importanza che riveste il sistema di relazioni industriali con cui vengono fissate le retribuzioni minime, attraverso la contrattazione collettiva nazionale, i minimi retributivi tabellari.

In questo contesto, anche a fronte della progressiva erosione dell’efficacia dei Ccnl, garantire un minimo retributivo potrebbe costituire un complemento alla contrattazione collettiva e non un sostituto come viene spesso sostenuto. Infine, data l’eterogeneità delle imprese e dei territori su scala nazionale, pur nella inderogabilità dei minimi salariali di legge, il sistema dovrebbe godere di una certa flessibilità escludendo, come già avviene negli altri Paesi, alcune categorie di lavoratori (neet, apprendisti, ecc.), e consentire alla contrattazione collettiva di secondo livello, a fronte di situazioni di comprovata difficoltà per le imprese o i territori, di derogare temporaneamente ai minimi salariali, proprio per evitare di penalizzare quei lavoratori che rischiano di essere spiazzati nella disoccupazione o nell’economia sommersa.

 

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