Le contaminazioni disciplinari. All'università pi๠scienza per lettere e filosofia.

In un recente studio del noto consorzio interuniversitario AlmaLaurea, si fotografa il risultato della crescita delle cosiddette “digital humanities“, le quali, laddove presentano un 5% di crediti scientifici nel piano di studi, registrano una crescita dell’occupazione a 5 anni dei laureati che dall’81,9 sale all’ 86%.
Come canta Francesco Guccini in “Quattro Stracci”, ci vuole scienza non solo per invecchiare senza maturità; ci vuole evidentemente scienza, anche per ridare nuova verve alle vecchie lauree umanistiche. Come accennato, la conferma di ciò arriva anche dai numeri del sopracitato studio di AlmaLaurea; numeri che possono configurarsi – ovviamente al netto dell’impatto ancora da verificare del Covid-19 – un utilissimo strumento di orientamento per i 500mila studenti delle attuali quinte superiore. Con la maturità nel cassetto, per loro, è dunque giunto il momento di decidere se inserirsi nel complesso mercato del lavoro o “procrastinare” questo momento, puntando ad un ulteriore fase di formazione, scegliendo il più idoneo percorso universitario.
Lo studio del consorzio interuniversitario, oltre a ribadire che laurearsi conviene, perché il titolo terziario assicura tassi di occupazione maggiori e retribuzioni più alte, riporta una sempre più marcata contaminazione dei corsi umanistici, a tal punto da renderli più attrattivi sul mercato del lavoro.
Ad essere maggiormente interessate dal fenomeno di contaminazione dei diversi saperi, come detto, sono soprattutto le “digital humanities“. Nell’anno accademico 2018/19 (il più recente a disposizione), su 660 corsi di area umanistica 67 (il 10,2%) avevano almeno il 5% di crediti di informatica o ingegneria informatica: il doppio di 15 anni fa. Viceversa, su 1.901 lauree scientifiche, solo 110 (ovvero il 5,8%) presentavano la stessa quota di crediti umanistici (lettere, arte, filosofia, storia, pedagogia). Ma se dal computo escludiamo architettura e scienze motorie (nonché la singola classe di diagnostica per la conservazione dei beni culturali) la platea si assottiglia a 14 corsi di studio con almeno il 5% di crediti umanistici (0,7%).
L’effetto della contaminazione, sempre a giudicare dai numeri di AlmaLaurea, è evidente. A 5 anni dal titolo tutti i laureati in ambito umanistico, da un lato, completano gli studi più frequentemente in corso e con voti più alti e, dall’altro, svolgono più frequentemente periodi di studio all’estero e tirocini curriculari. I risultati sul piano occupazionale si vedono: il tasso di occupazione dei laureati biennali umanistici del 2014, a 5 anni, è dell’86% rispetto al 81,9% dei corsi tradizionali; per trovare lavoro impiegano 6,7 mesi anziché 8 dall’inizio della ricerca; percepiscono una retribuzione superiore (1.382 euro di media contro 1.298) e, infine, riescono a strappare un contratto a tempo indeterminato nel 52,7% dei casi (e non nel 42% solito).
Con un’ultima annotazione interessante sulle prospettive di carriera, che non si limitano più all’insegnamento, dove generalmente finisce per lavorare il 44,7% dei laureati umanistici. In presenza di un titolo di studio contaminato con esami scientifici, prende la strada della cattedra meno di un quarto degli interessati.