s

BUONI PASTO E FISCALITà€

BUONI PASTO E FISCALITà€


3 marzo 2021 | Lavoro e dintorni
BUONI PASTO E FISCALITà€

Sappiamo quanto lo strumento dei Buoni Pasto rappresenti un sostegno importante per le famiglie e per i lavoratori, che così riescono a gestire con più serenità le dinamiche economiche mensili, in particolar modo per questa nuova tipologia di lavoratori che operano in smart working. Vediamo come gli enti preposti al controllo fiscale recepiscono la materia, in particolare come è considerato l’assoggettamento all’IRPEF dei buoni pasto per la categoria in esame. Il quesito cardine interessa anche le aziende che emettono gli emolumenti e che, evidentemente, si domandano in che modo agire nello specifico. In particolare: come comportarsi con le consuete ritenute d’acconto come sostitute d’imposta, che normalmente vengono emesse in presenza di trattenute IRPEF sulla retribuzione.

La disciplina giurisprudenziale in materia prefigura una non rilevanza fiscale dei buoni pasto per la categoria di lavoratori in oggetto. In particolare D.lgs. n.333 del 1992 (art. 6, comma 3) dispone che in assenza di particolari contratti collettivi che ne facciano riferimento, i buoni pasto non siano da considerare parte dello stipendio, e quindi, de facto, non concorrono al calcolo delle ritenute d’acconto. Inoltre la Cassazione ha già recepito i buoni pasto come un sostegno in materia di politiche assistenziali e quindi non rientrante nello stipendio, che invece è una retribuzione corrispettiva del lavoro svolto.

Alla luce di quanto detto, anche per lo smart working, lo strumento dei buoni pasto è da considerarsi avulso al computo IRPEF, equiparando quest’ultima tipologia di lavoratori a tutti gli altri.

È bene anche sottolineare che allo stato attuale la Pandemia è nel pieno di una difficile e turbolenta Fase 3, ragion per cui si rende ancora più necessario favorire dinamiche sociali che contribuiscano ad evitare il contatto tra le persone, in modo da frenare il diffondersi del virus. In questo senso le iniziative prese dal governo in materia di lavoro favoriscono lo smart working anche in via informale. Questo significa che, almeno fino al prossimo 31 marzo – con ogni probabilità si tenderà ad emanare l’ennesima proroga ai termini - i dipendenti sono messi nelle condizioni di svolgere le proprie mansioni in formato “agile” senza formalizzare con l’azienda con alcun tipo di accordo scritto.

In favore comunque di un controllo, si chiede ai datori di lavoro, come unica forma di adempimento formale, una comunicazione telematica al Ministero preposto e contenente i dati del o dei lavoratori che operano in smart working, segnalandone anche il periodo in cui quest’attività viene svolta. A completamento di questa “registrazione” vi è l’invio di materiale informativo, da condividere tra datore di lavoro e dipendente, circa i rischi in materia di salute per coloro che operano in lavoro agile.

 

Commenta questo articolo